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— Lasciatela stare, cugina Rubiera! — interruppe don Diego, con un rimasuglio del vecchio sangue dei Trao alle guance.

— Sì, sì, lasciamola stare! Quanto a mio figlio ci penserò io, non dubitate! Gli farò fare quel che dico io, al signor baronello... Birbante! assassino! Sarà causa della mia morte!...

E le spuntarono le lagrime. Don Diego, avvilito, non osava alzare gli occhi. Ci aveva fissi dinanzi, implacabili, Ciolla, la farmacia di Bomma, le risate ironiche dei vicini, le chiacchiere delle comari, ed anche insistente e dolorosa, la visione netta della sua casa, dove un uomo era entrato di notte: la vecchia casa che gli sembrava sentir trasalire ancora in ogni pietra all’eco di quei passi ladri: e Bianca, sua sorella, la sua figliuola, il suo sangue, che gli aveva mentito, che s’era stretta tacita nell’ombra all’uomo il quale veniva a recare così mortale oltraggio ai Trao: il suo povero corpo delicato e fragile nelle braccia di un estraneo!... Le lagrime gli scendevano amare e calde a lui pure lungo il viso scarno che nascondeva fra le mani.

La baronessa, infine, si asciugò gli occhi, e sospirò rivolta al crocifisso:

— Sia fatta la volontà di Dio! Anche voi, cugino Trao, dovete aver la bocca amara! Che volete: Tocca a noi che abbiamo il peso della casa sulle spalle!...