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vitali, con gli occhi velati di lagrime che volevano sembrare di tenerezza ed erano di sconforto: — Farò questo! farò quell’altro! — Faceva come quegli uccelletti in gabbia i quali provano il canto della primavera che non vedranno. Il letto le mangiava le carni; la febbre la consumava a fuoco lento. Adesso, quand’era presa dalla tosse, si metteva ad ansare, sfinita, colla bocca aperta, gli occhi smaniosi in fondo alle occhiaie che sembravano fonde fonde, brancicando colle povere braccia stecchite quasi volesse afferrarsi alla vita.

— Bene! — sospirò infine don Gesualdo che vedeva la moglie in quello stato. — Farò anche questa!... Pagherò anche stavolta perchè il signor duca ti faccia rivedere la figliuola!... Già son fatto per portare il carico...

Il medico andava e veniva; provava tutti i rimedi, tutte le sciocchezze che leggeva nei suoi libracci; c’era un conto spaventoso aperto dal farmacista. — Almeno giovassero a qualche cosa! — brontolava don Gesualdo. — Io non guardo ai denari spesi per mia moglie; ma voglio spenderli perchè le giovino e le si veggano in faccia... non già per provare i medicamenti nuovi come all’ospedale!... Ora che si sono messi in testa ch’io sia ricco, ciascuno se ne giova pei suoi fini...

La prima volta però che s’arrischiò a fare velata-