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— Sicuro!... Avete trovato un galantuomo che se la piglia in buona fede... Ma non potete pretendere troppo infine da lui!...

Talchè don Gesualdo, stretto da tutte le parti, tirato pei capelli, si lasciò aprir le vene, e mise il suo nome in lettere di scatola al contratto nuziale: Gesualdo Motta sotto la firma del genero che pigliava due righe: Alvaro Filippo Maria Ferdinando Gargantas di Leyra.

Da Palermo giunsero dei regali magnifici, dei gioielli e dei vestiti che asciugarono a poco a poco le lagrime della sposa, uno sfoggio di grandezze che la pigliava come una vertigine, che chiamava un pallido sorriso fin sulle labbra della mamma, e che lo zio marchese andava spampanando da per tutto. Solo don Gesualdo borbottava di nascosto. Si aspettavano gran cose per quello sposalizio. La Capitana mandò un espresso a Catania dal primo sarto. Le Zacco stettero otto giorni in casa a cucire. Però alle nozze non fu invitato nessuno: gli sposi vestiti da viaggio, i genitori, i testimoni, quattro candele e nessun altro, nella meschina chiesetta di Sant’Agata, dove s’era maritata Bianca. Quanti ricordi per la povera madre, la quale pregava inginocchiata dinanzi a quell’altare, coi gomiti sulla seggiola e il viso fra le mani! Fuori aspettava la lettiga che doveva portarsi via gli sposi. Fu una delusione e un malumore ge-