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dosi ora su di una gamba e ora sull’altra, balbettando, guardando inquieto di qua e di là, ripeteva sempre la stessa cosa: — Il baronello non era alla Vignazza. Vi aveva lasciato il cane, Marchese, la sera innanzi, ed era partito: — A piedi, sissignora. Così mi ha detto il fattore. — La serva, rassettandosi di nascosto, a capo chino, soggiunse che il baronello, allorchè andava a caccia di buon’ora, soleva uscire dalla porticina della stalla, per non svegliar nessuno: — La chiave?... Io non so... Ha minacciato di rompermi le ossa... La colpa non è mia, signora baronessa!... — Come le pigliasse un accidente, alla signora baronessa. — Poi sgattaiolarono entrambi mogi mogi. Nella scala si udirono di nuovo le scarpaccie che scendevano a precipizio, inseguendosi.

Don Diego, cadaverico, col fazzoletto sulla bocca per frenare la tosse, continuava a balbettare soffocato delle parole senza senso.

— Era lì... dietro quell’uscio!... Meglio m’avesse ucciso addirittura... allorchè mi puntò le pistole al petto... a me!... le pistole al petto, cugina Rubiera!...

La baronessa si asciugava le labbra amare come il fiele col fazzoletto di cotone: — No! questa non me l’aspettavo!... dite la verità, cugino don Diego, che non me la meritavo!... Vi ho sempre trattati da parenti... E quella gatta morta di Bianca che me la pigliavo in casa giornate intere... come una figliuola...