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Gesualdo e il marchese Limòli. Tutt’intorno c’era un cerchio di sfaccendati.

Il barone Zacco attaccò discorso col cocchiere per scavare cosa c’era sotto. Mèndola fingeva d’accarezzare i cavalli. Canali ammiccava di qua e di là: — Guardate un po’, signori miei, che ruota è il mondo! — Nessuno badava più alla processione. C’era un bisbiglio in tutto il Caffè. Don Ninì Rubiera, da lontano, col cappello in cima al bastone appoggiato alla spalla, si morsicava le labbra dal dispetto, pensando a quel che era toccato a lui invece, donna Giuseppina Alòsi in moglie, una mandra di figliuoli, la lite per la casa che mastro— don Gesualdo voleva acchiapparsi col pretesto del debito, dopo tanto tempo... La moglie al vederlo così stralunato, cogli occhi fissi addosso a sua cugina, gli piantò una gomitata aguzza nelle costole.

— Quando volete finirla?... E’ uno scandalo!... I vostri figliuoli stessi che vi osservano! Vergogna!

— Ma sei pazza? — rispose lui. — Diavolo! Ho altro pel capo adesso! Non vedi che ha già i capelli bianchi? ch’è una mummia?... Sei pazza?

Egli pure era invecchiato, floscio, calvo, panciuto, acceso in viso, colle gote ed il naso ricamati di filamenti sanguigni che lo minacciavano della stessa malattia di sua madre. Ora si guardavano come due estranei, lui e Bianca, indifferenti, ciascuno coi suoi guai e i suoi interessi pel capo. Anche le male lin-