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rere in cucina ad aiutare in quello scompiglio, don Gesualdo la fermò nell’andito, senza tanti complimenti.
— Sapete, donna Sarina?... il servizio che dovreste farmi sarebbe d’andarvene. Patti chiari e amici cari, non è vero? Ho bisogno di quelle due stanze... pei miei motivi. Sinora non vi ho detto nulla. Ma voi avrete ammirato la mia prudenza, eh?
La Cirmena diventò verde. S’aggiustò il vestito, sorridendo, pigliandola con disinvoltura: — Bene, bene. Ho capito. Una volta che vi servono quelle due stanzuccie... Se avete i vostri motivi... Anche subito, su due piedi... colèra o no!... La gente non ha da dire se me ne mandate via in mezzo al colèra!... Siete il padrone. Ciascuno sa i fatti di casa sua. Soltanto, se permettete, vado prima a salutare mia nipote. Non so cosa potrebbero pensare se me ne andassi zitta zitta... Le male lingue, sapete!...
Bianca non arrivava a capacitarsi: — Come? andarsene via? nel fitto del colèra? Perchè? Cos’era stato? — La zia Cirmena adduceva diversi pretesti strambi: forza maggiore; ciascuno ha i suoi motivi; interessi gravi di casa; Corrado aveva ricevuto una lettera urgentissima. — Gli rincresce anche a lui, poveretto. Gli è arrivata fra capo e collo. S’era tanto affezionato a questi luoghi... Anche poco fa mi diceva: — Zia, oggi è l’ultima passeggiata che andrò