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rono alla Fontana di don Cosimo, con una bella sera stellata, il cielo tutto che sembrava formicolare attorno a Budarturo, sulla distesa dei piani e dei monti che s’accennava confusamente. La mula, sentendo la stalla vicina, si mise a ragliare. Allora abbaiarono dei cani; laggiù in fondo comparvero dei lumi in mezzo all’ombra più fitta degli alberi che circondavano la casina, e s’udirono delle voci, un calpestìo precipitoso come di gente che corresse; lungo il sentiero che saliva dalla valle si udì un fruscìo di foglie secche, dei sassi che precipitarono rimbalzando, quasi alcuno s’inerpicasse cautamente. Poi silenzio. A un tratto, dal buio, sul limite del boschetto, partì una voce:

— Ehi, don Gesualdo?

— Ehi, Nanni, che c’è?

Compare Nanni non rispose, mettendosi a camminare accanto alla mula. Dopo un momento masticò sottovoce, quasi a malincuore:

— C’è che son qui per guardarvi le spalle!

Don Gesualdo non chiese altro. Scendevano per la viottola in fila. Nanni l’Orbo aggiunse soltanto, di lì a un po’: — Si fece la festa, eh? — E come il padrone continuava a tacere, conchiuse: — L’ho capito alla cera che avete, vossignoria. Mondo di guai!... L’uno dopo l’altro! — Giunti alla fontana infine disse:

— Smontiamo qui, eh? Mastro Nardo se ne an-