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verla comperata coi vostri guadagni la fornace del gesso!... No, no, sto zitta, massaro Fortunato! Se ne parlerà poi, chi campa. Chi campa tutto l’anno vede ogni festa. Vi saluto, don Gesualdo. Sarà quel che vuol Dio. Beato quel poveretto che adesso è tranquillo, sottoterra!...

Brontolava ancora ch’era già in viaggio, sballottata dall’ambio della cavalcatura, colla schiena curva, e il vento che le gonfiava lo scialle dietro. Don Gesualdo montò a cavallo lui pure, e se ne andò dall’altra parte, col cuore grosso dell’ingratitudine che raccoglieva sempre, voltandosi indietro, di tanto in tanto, a guardare la fattoria rimasta chiusa e deserta, accanto alla buca ancora fresca, e la cavalcata dei suoi che si allontanavano in fila, uno dopo l’altro, di già come punti neri nella campagna brulla che s’andava oscurando. Dopo un pezzetto, mastro Nardo che ci aveva pensato su, fece l’orazione del morto:

— Poveretto! Ha lavorato tanto... per tirare su i figliuoli... per lasciarli ricchi... Ora è sotto terra! Vi rammentate, vossignoria, quando è rovinato il ponte, a Fiumegrande, e voleva annegarsi?... Ecco cos’è il mondo! Oggi a te, domani a me.

Il padrone gli rivolse un’occhiata brusca, e tagliò corto:

— Zitto, bestia!... Anche tu!...

Potevano essere due ore di notte quando arriva-