Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/37


— 29 —

di biancheria, arrivarono nella camera della baronessa, imbiancata a calce, col gran letto nuziale rimasto ancora tale e quale, dopo vent’anni di vedovanza, dal ramoscello d’ulivo benedetto, a piè del crocifisso, allo schioppo del marito accanto al capezzale.

La cugina Rubiera era tornata a lamentarsi del figliuolo: — Tale e quale suo padre, buon’anima! Senza darsi un pensiero al mondo della mamma o dei suoi interessi!...

Vedendo il cugino Trao inchiodato sull’uscio, rimpiccinito nel soprabitone, gli porse da sedere: — Entrate, entrate, cugino Trao. — Il poveretto si lasciò cadere sulla seggiola, quasi avesse le gambe rotte, sudando come Gesù all’orto; si cavò allora il cappellaccio bisunto, passandosi il fazzoletto sulla fronte.

— Avete da dirmi qualche cosa, cugino? Parlate, dite pure.

Egli strinse forte le mani l’una nell’altra, dentro il cappello, e balbettò colla voce roca, le labbra smorte e tremanti, gli occhi umidi e tristi che evitavano gli occhi della cugina:

— Sissignora.... Ho da parlarvi....

Lei, da prima, al vedergli quella faccia, pensò che fosse venuto a chiederle denari in prestito. Sarebbe stata la prima volta, è vero: erano troppo superbi i cugini Trao: qualche regaluccio, di quelli che aiutano a tirare innanzi, vino, olio, frumento, solevano accet-