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— Nulla.... Le stoppie lassù avran preso fuoco.... V’accompagno. È cosa da nulla.

Nell’aia erano tutti in subbuglio. Mastro Nardo, sotto la tettoia, insellava in fretta e in furia la mula baia di don Gesualdo. Dinanzi al rastrello del giardino Nanni l’Orbo e parecchi altri ascoltavano a bocca aperta un contadino di fuorivia che narrava gran cose, accalorato, gesticolando mostrando il vestito ridotto in brandelli.

— Nulla, nulla, — ripetè don Gesualdo. — V’accompagno a casa vostra. Non c’è premura. — Si vedeva però ch’era turbato, balbettava, grossi goccioloni gli colavano dalla fronte. Donna Sarina s’ostinava ad aver paura, piantandosi su due piedi, frugando di qua e di là cogli occhi curiosi, fissandoli in viso a lui per scovar quel che c’era sotto: — Un caso di colèra, eh? Ce l’han portato sin qui? Qualche briccone? L’han colto sul fatto? — Infine don Gesualdo le mise le mani sulle spalle, guardandola fissamente nel bianco degli occhi: — Donna Sarina, a che giuoco giochiamo? Lasciatemi badare agli affari di casa mia! santo e santissimo! — E la mise bel bello sulla sua strada, di là dal ponticello. Tornando indietro se la prese con tutta quella gente che sembrava ammutinata, comare Lia che aveva lasciato d’impastare il pane, sua figlia accorsa anche lei colle mani intrise di farina. — Che c’è? che c’è? Voi, ma-