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gli occhi turbati che l’osservavano attentamente. — Che hai? Sei pallida!... Non ti senti bene?

La zia Cirmena che vedeva la ragazza così gracile, così pallidina, con quelle pesche sotto gli occhi, cercava di distrarla, le insegnava dei lavori nuovi, delle cornicette intessute di fili di paglia, delle arance e dei canarini di lana. Le contava delle storielle, le portava da leggere le poesie che scriveva suo nipote Corrado, di nascosto, nel panierino della calza. — Son fresche fresche di ieri. Gliele ho prese dal tavolino ora che è uscito a passeggiare. È ritroso, quel benedetto figliuolo. Così timido! uno che ha bisogno d’aiuto, col talento che ha, peccato! — E le suggeriva anche dei rimedi per la salute delicata, lo sciroppo marziale, delle teste di chiodi in una bottiglia d’acqua. Si sbracciava ad aiutare in cucina, col vestito rimboccato alla cintola, a far cuocere un buon brodo di ossa per sua nipote Bianca, a preparare qualche intingolo per Isabella che non mangiava nulla. — Lasciate fare a me. So quel che ci vuole per lei. Voialtri Trao siete tanti pulcini colla luna. — Un braccio di mare quella zia Cirmena. Una donna che se le si faceva del bene, non ci si perdeva interamente. Spesso costringeva Corrado a venire anche lui la sera per tenere allegra la brigata.

— Tu che sai fare tante cose, coi tuoi libri, colle tue chiacchiere, porterai un po’ di svago. Santo Dio!