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La stuzzicava, la interrogava, chiedeva in ricambio le sue confidenze, sembrava a ogni lettera che le capitasse lì dinanzi, coi suoi occhioni superbi, colle belle labbra carnose, a dirle in un orecchio delle cose che le facevano avvampare il viso, che le facevano battere il cuore, quasi ci avesse nascosto il suo segreto da confidarle anche lei. S’erano regalato a vicenda un libriccino di memorie, colla promessa di scrivervi sopra tutti i loro pensieri più intimi, tutto, tutto, senza nascondere nulla! I begli occhi azzurri d’Isabella, gli occhi che diceva lo zio Limòli, senza volerlo, senza guardare neppure, sembrava che cercassero quei pensieri. In quella testolina che portava ancora le trecce sulle spalle, nasceva un brulichìo, quasi uno sciame di api vi recasse tutte le voci e tutti i profumi della campagna, di là dalle roccie, di là da Budarturo, di lontano. Sembrava che l’aria libera, lo stormire delle frondi, il sole caldo, le accendessero il sangue, penetrassero nelle sottili vene azzurrognole, le fiorissero nei colori del viso, le gonfiassero di sospiri il seno nascente sotto il pettino del grembiule. — Vedi quanto ti giova la campagna? — diceva il babbo. — Vedi come ti fai bella?
Ma essa non era contenta. Sentiva un’inquietezza un’uggia, che la facevano rimanere colle mani inerti sul ricamo, che la facevano cercare certi posti per leggere i pochi libri, quei volumetti