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ma con una grazia naturale in tutta la personcina gentile, la carnagione delicata e il profilo aquilino dei Trao; un fiore di un’altra pianta, in poche parole; roba fine di signori che suo padre stesso quando andava a trovarla provava una certa suggezione dinanzi alla ragazza la quale aveva preso l’aria delle compagne in mezzo a cui era stata educata, tutte delle prime famiglie, ciascuna che portava nell’educandato l’alterigia baronale da ogni angolo della Sicilia. Al parlatorio lo chiamavano il signor Trao. Quando volle saperne il perchè, Isabella si fece rossa. La stessa storia del Collegio di Maria anche lì. E la sua figliuola aveva dovuto soffrire le stesse umiliazioni a motivo del parentado. Per fortuna la signorina di Leyra, che Isabella s’era affezionata coi regalucci, aveva preso a difenderla a spada tratta. Essa conosceva di nome la famiglia dei Trao, una delle prime laggiù, ove il duca suo fratello possedeva dei feudi. La duchessina aveva il nome e il parlare alto, sebbene stesse in collegio senza pagare, talchè le compagne lasciarono passare il Trao. Ma don Gesualdo dovette lasciarlo passare anche lui, e farsi chiamare così, per amore della figliuola, quando andava a trovarla. — Vedrai come si è fatta bella la tua figliuola! — tornava poi a dire alla moglie che era sempre malaticcia.

Essa la rivide finalmente all’uscire del collegio,