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succedeva lo stesso diavoleto che mastro-don Gesualdo aveva fatto nascere nei grandi e nel paese. Non si sapeva più chi poteva spendere e chi no. Una gara fra i parenti a buttare il denaro in frascherie, e una confusione generale fra chi era stato sempre in prima fila, e chi veniva dopo. Quelli che non potevano, proprio, o si seccavano a spendere l’osso del collo pel buon piacere di mastro-don Gesualdo, si lasciavano scappare contro di lui certe allusioni e certi motteggi che fermentavano nelle piccole teste delle educande. Alla guerra intestina pigliavano parte anche le monache, secondo le relazioni, le simpatie, il partito che sosteneva oppure voleva rovesciare la superiora. Ci si accaloravano fin la portinaia, fin le converse che si sentivano umiliate di dover servire senz’altro guadagno anche la figliuola di mastro-don Gesualdo, uno venuto su dal nulla, come loro, arricchito di ieri. Le nimicizie di fuori, le discordie, le lotte d’interessi e di vanità, passavano la clausura, occupavano le ore d’ozio, si sfogavano fin là dentro in pettegolezzi, in rappresaglie, in parole grosse. — Sai come si chiama tuo padre? mastro-don Gesualdo. — Sai cosa succede a casa tua? che hanno dovuto vendere una coppia di buoi per seminare le terre. — Tua zia Speranza fila stoppa per conto di chi la paga, e i suoi figliuoli vanno scalzi. — A casa tua c’è stato l’usciere per fare il pignoramento. — La piccola Alimena arrivò a na-