dentro, un presepio del Bongiovanni che pigliava un’intera tavola: tutto ciò che avevano le figlie dei primi signori, la sua figliuola l’aveva; e i meglio bocconi, le primizie che offriva il paese, le ciriegie e le albicocche venute apposta da lontano. Le altre ragazzette guardavano con tanto d’occhi, e soffocavano dei sospiri grossi così. La minore delle Zacco, e le Mèndola di seconda mano, le quali dovevano contentarsi delle cipolle e delle olive nere che passava il convento a merenda, si rifacevano parlando delle ricchezze che possedevano a casa e nei loro poderi. Quelle che non avevano nè casa nè poderi, tiravano in ballo il parentado nobile, il Capitano Giustiziere ch’era fratello della mamma, la zia baronessa che aveva il cacciatore colle penne, i cugini del babbo che possedevano cinque feudi l’uno attaccato all’altro, nello stato di Caltagirone. Ogni festa, ogni Capo d’anno, come la piccola Isabella riceveva altri regali più costosi, un crocifisso d’argento, un rosario coi gloriapatri d’oro, un libro da messa rilegato in tartaruga per imparare a leggere, nascevano altre guerricciuole, altri dispettucci, delle alleanze fatte e disfatte a seconda di un dolce e di un’immagine data o rifiutata. Si vedevano degli occhietti già lucenti d’alterigia e di gelosia, dei visetti accesi, dei piagnistei, che andavano poi a sfogarsi nell’orecchio delle mamme, in parlatorio. Fra tutte quelle piccine, in tutte le famiglie,