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La Rubiera che stimò il momento propizio, e non voleva perdere l’occasione, lo tirò a quattr’occhi vicino al letto, mentre si udivano in fondo al corridoio Mèndola e don Ferdinando i quali litigavano ad alta voce, e tutti corsero a vedere.

— Sentite don Gesualdo; io non ho peli sulla lingua. Volevo parlarvi di quello scapestrato di mio figlio. Aiutami tu, Bianca.

— Io, zia?...

— Scusatemi, io so parlare col cuore in mano... tale e quale come m’ha fatta mia madre... Ora che siete padre anche voi, don Gesualdo capirete quel che devo averci in cuore... che spina... che tormento!...

Guardava ora la nipote ed ora suo marito cogli occhi acuti, col sorriso semplice e buono che le avevano insegnato i genitori pei negozi spinosi. Don Gesualdo stava a sentire tranquillamente. Bianca, imbarazzata da quell’esordio, colla figliuoletta in grembo, sembrava una statua di cera.

— Saprete le chiacchiere che corrono, di Ninì con quella comica? Bene. Di ciò non mi darei pensiero. Non è la prima e l’ultima. Suo padre, buon’anima, era fatto anch’esso così. Ma sinora gli ho impedito di commettere qualche sciocchezza. Adesso però ci sono di mezzo i birboni, i cattivi compagni... Senti, Bianca, io, la mia figliuola, non l’avrei data da battezzare a quel canonico lì!...