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— Diavolo! — disse Zacco, che cercava l’occasione di mostrarsi amabile. — Diavolo! Vorrei vedere anche questa!... — Gli altri facevano coro. — Ecco che risorgeva casa Trao. Voleri di Dio. Quella bambina stessa che aveva voluto nascere nella casa materna. Il canonico Lupi arrivò anche a congratularsi col marchese Limòli il quale aveva pensato al mezzo di non lasciare estinguere il casato alla morte di don Ferdinando.

— Sicuro, sicuro, — borbottò don Gesualdo. — Era già inteso... V’avevo detto di sì allora... Quando ho detto una parola...

E andò a deporre la figliuola fra le braccia della moglie che le zie si rubavano a vicenda. La baronessa Mèndola voleva sapere cosa dicessero. Zacco, premuroso, venne a chiedere dei confetti per don Ferdinando a cui nessuno aveva pensato.

— Sicuro, sicuro. E’ il padrone di casa.

— Vedete? — osservò la zia Rubiera. — A quest’ora c’è già pel mondo chi deve portarvi via la figliuola e la roba.

Scoppiarono delle risate. Donna Agrippina torse la bocca e chinò a terra gli occhioni che dicevano tante cose, quasi avesse udito un’indecenza. Don Gesualdo rideva anche lui, faceva buon viso a tutti. Alla fine arrischiò anche una barzelletta:

— E quando si marita vi lascia anche il nome dei Trao... La dote, no, non ve la lascia!...