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viso dipinto al pari di una maschera. Nondimeno lo accolse come una regina nel bugigattolo dove c’era un gran puzzo di moccolaia e lo presentò a un omaccione, il quale stava frugando dentro il cassone, in maniche di camicia, e non si voltò neppure.

— Il barone Rubiera, distinto cultore... Il signor Pallante celebre artista.

Poi volse un’occhiata alla schiena del celebre artista che continuava a rovistare brontolando, un’altra più lunga a don Ninì, e soggiunse a mezza voce:

— Lo conoscevo di già!... Lo vedo ogni sera... in platea!

Egli invece stava per scusarsi che in teatro non era venuto a causa del lutto; ma in quella si voltò il signor Pallante colle mani sporche di polvere, il viso impiastricciato anche lui, e una vescica in testa dalla quale pendevano dei capelli sudici.

— Non c’è, — disse con un vocione che sembrava venire di sotterra. — Te l’avevo detto!... accidenti! — E se ne andò brontolando.

Ella guardò intorno in aria di mistero, colle pupille stralunate in mezzo alle occhiaie nere; andò a chiudere l’uscio in punta di piedi, e poscia si voltò verso il giovane, con una mano sul petto, un sorriso pallido all’angolo della bocca.

— È strano come mi batte il cuore!... No... non è nulla... sedete.