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gomito il fratello, il quale accennava di sì col capo e sorrideva lui pure come un fanciullo. Poi raccontava quello che aveva visto lui: - Oggi ventisette!... ne sono passati ventisette.... L’arciprete Bugno era insieme col cugino Limòli!...

Per un po’ di giorni, verso i primi d’agosto, era venuto soltanto don Ferdinando ad annaffiare i fiori, strascinandosi a stento, coi capelli grigi svolazzanti, sbrodolandosi tutto a ogni passo. Allorchè ricomparve anche don Diego, parve di vedere Lazzaro risuscitato: tutto naso, colle occhiaie nere, seppellito vivo in una vecchia palandrana, tossendo l’anima a ogni passo: una tosse fioca che non si udiva quasi più, e scuoteva dalla testa ai piedi lui e il fratello che gli dava il braccio, come andasse facendo la riverenza a ogni vaso di fiori. E fu l’ultima volta. D’allora in poi s’erano visti raramente insieme le teste canute dei due fratelli, dietro i vetri rattoppati colla carta, cercando il sole, don Diego sputando e guardando in terra ogni momento. Il giorno in cui avvenne quel parapiglia nel Palazzo di Città, che le voci si udivano sin nella piazzetta di Sant’Agata, apparve per un istante alla finestra la cima di un berretto bianco tremolante. Ma allorquando la processione di San Giuseppe si fermò dinanzi al portone del Trao, per l’omaggio tradizionale alla famiglia, le finestre rimasero chiuse, malgrado il vocìo della folla. Don Fer-