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mendo che Ciolla stesse a spiarlo. Per fortuna colui s’era fermato a discorrere col canonico Lupi, facendo di gran risate, alle quali il canonico rispondeva atteggiando la bocca al riso anche lui, discretamente.

La baronessa Rubiera faceva vagliare del grano. Don Diego la vide passando davanti la porta del magazzino, in mezzo a una nuvola di pula, con le braccia nude, la gonnella di cotone rialzata sul fianco, i capelli impolverati, malgrado il fazzoletto che s’era tirato giù sul naso a mo’ di tettino. Essa stava litigando con quel ladro del sensale Pirtuso, che le voleva rubare il suo farro pagandolo due tarì meno a salma, accesa in volto, gesticolando con le braccia pelose, il ventre che le ballava: — Non ne avete coscienza, giudeo?... — Poi, come vide don Diego, si voltò sorridente:

— Vi saluto, cugino Trao. Cosa andate facendo da queste parti?

— Veniva appunto, signora cugina... — e don Diego, soffocato dalla polvere, si mise a tossire.

— Scostatevi, scostatevi! Via di qua, cugino. Voi non ci siete avvezzo — interruppe la baronessa. — Vedete cosa mi tocca a fare? Ma che faccia avete, gesummaria! Lo spavento di questa notte, eh?...

Dalla botola, in cima alla scaletta di legno, si affacciarono due scarpacce, delle grosse calze turchine, e si udì una bella voce di giovanetta la quale disse: