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— Avete visto com’è andata a finire? — Ciolla corse a desinare lui pure. Don Liccio Papa, adesso che non c’era più nessuno, si fece vedere di nuovo per le vie, con la mano sulla sciaboletta, guardando fieramente gli usci chiusi. Infine entrò da Pecu-Pecu, e si posero a tavola con compare Santo.

— Avete visto com’è andata a finire? — Ciolla soleva desinare in fretta e in furia col cappello in testa e il bastone fra le gambe, per tornar subito in piazza a mangiar l’ultimo boccone, portandosi in tasca una manciata di lupini o di ceci abbrustoliti, d’inverno anche con lo scaldino sotto il tabarro, bighellonando, dicendo a ciascuno la sua, sputacchiando di qua e di là, seminando il terreno di bucce. — Avete visto com’è andata a finire? — Faceva la prima tappa dal calzolaio, poi dal caffettiere, appena apriva, senza prendere mai nulla, girava a seconda dell’ombra, d’inverno in senso inverso, cercando il sole. E le cose tornarono ad andare pel suo verso, al pari di Ciolla. Giacinto mise fuori i tavolini pei sorbetti, don Anselmo schierò le seggiole sul marciapiede del Caffè dei Nobili. Rimanevano le ultime nuvole del temporale: dei capannelli qua e là, dinanzi alla bottega di Pecu-Pecu e al Palazzo di Città; gente che guardava inquieta, curiosi che correvano e si affollavano al più piccolo rumore. Ma del resto ogni cosa aveva ripreso l’aspetto solito delle domeniche. L’arciprete