Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/222


— 214 —

dente mentre pensava pure che se i suoi figliuoli avessero avuto la stessa sorte, erano proprio denari buttati via, tante fatiche, i guadagni stessi, sempre con quel bel risultato! Poi, quando la zia Sganci se ne fu andata, prese a brontolare contro di Bianca, che non si era messo il vestito buono per ricevere la zia: — Allora a che serve aver la roba? Diranno che ti tengo come una serva. Bel gusto spendere i denari, per non goderne nè noi nè gli altri!

— Lasciamo stare queste sciocchezze, e parliamo di cose serie! — interruppe il canonico che s’era riannuvolato in viso. — C’è un casa del diavolo. Cercano di aizzarvi contro tutto il paese, dicendo che avete le mani lunghe, e volete acchiappare quanta terra si vede cogli occhi, per affamare la gente... Quella bestia di Ciolla va predicando per conto loro... Vogliono scatenarci contro anche i villani... a voi e a me, caro mio! Dicono che io tengo il sacco... Non posso uscir di casa...

Don Gesualdo scrollava le spalle. — Ah, i villani? Ne riparleremo poi, quando verrà l’inverno. Voi che paura avete?

— Che paura ho, per... mio!... Non sapete che a Palermo hanno fatto la rivoluzione.

Andò a chiudere l’uscio in punta di piedi, e tornò cupo, nero in viso.

— La Carboneria, capite!... Anche qui hanno por-