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lazzo di Città, e per tutto il paese, era un subbuglio, al sentire la lotta che c’era stata per levare di mano al barone Zacco le terre del comune che da quarant’anni erano nella sua famiglia, e il prezzo a cui erano salite. La gente si affacciava sugli usci, per veder passare mastro— don Gesualdo.
— Guardate un po’, signori miei, a che s’era arrivati!... — Fresco come un bicchier d’acqua, quel mastro— don Gesualdo che se ne andava a casa, colle mani in tasca... In tasca aveva più denari che capelli in testa! e dava da fare ai primi signori del paese! Nell’anticamera aspettava don Giuseppe Barabba, in livrea: — Signor don Gesualdo, c’è di là la mia padrona a farvi visita... sissignore! — Donna Giuseppina in gala era seduta sul canapè di seta, sotto lo specchio grande, nella bella sala gialla.
— Nipote mio, l’avete fatta grossa! Avete suscitato l’inferno in tutto il parentado!... Sicuro! La moglie del cugino Zacco è venuta a farmi vedere i lividori!... Sembra ammattito il barone!... Prende a sfogarsi con chi gli capita... Ed anche la cugina Rubiera... dice ch’è un proditorio! che il canonico Lupi vi aveva messi d’amore e d’accordo, e poi tutt’a un tratto... E’ vero, nipote mio? Son venuta apposta a discorrerne con Bianca... Vediamo, Bianca, aiutami tu. Cerchiamo d’accomodarla. Voi, don Gesualdo, le farete questo regalo, a vostra moglie. Eh? che ne dite?