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— Portatelo fuori! Portatelo via! — strillò don Filippo alzandosi a metà. Alcuni battevano le mani. Ma don Ninì ostinavasi, pallido come la sua camicia adesso.

— Sissignore! a sei onze la salma! Scrivete la mia offerta, segretario!

— Alto! — gridò il notaro levando tutte e due le mani in aria. — Per la legalità dell’offerta!... fo le mie riserve!...

E si precipitò sul baronello, come s’accapigliassero. Lì, nel vano del balcone, faccia a faccia, cogli occhi fuori dell’orbita, soffiandogli in viso l’alito infuocato:

— Signor barone!... quando volete buttare il denaro dalla finestra!... andate a giuocare a carte!... giuocatevi il denaro di tasca vostra soltanto!...

Don Ninì sbuffava peggio di un toro infuriato. Peperito aveva chiamato con un cenno il canonico Lupi, e s’erano messi a confabulare sottovoce, chinati sulla scrivania, agitando il capo come due galline che beccano nello stesso tegame. Era tanta la commozione che le mani del canonico tremavano sugli scartafacci. Il cavaliere lo prese per un braccio e andarono a raggiungere il notaro e il baronello che disputavano animatissimi in un canto della sala. Don Ninì cominciava a cedere, col viso floscio e le gambe molli. Il canonico allora fece segno a don Gesualdo d’accostarsi lui pure.