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— Ah? ah?... — sogghignava intanto il marchese.

Donna Sarina gli ribattè sul muso, frenando a stento la voce:

— Non mi fate lo gnorri, don Alfonso!... Lo sapete meglio di me!... Deve premere anche a voi che siete della famiglia... Bisogna farlo per la gente... se non per lei!... — E infilò l’uscio della camera nuziale, continuando a sbraitare.

— Va bene, va bene! Non andate in collera... Vuol dire che ce ne andremo noi!... Ehi, ehi, canonico... Mi par che sarebbe tempo d’andarcene!... Un po’ di prudenza!...

— Ah! ah!... Ah! ah! — chiocciava il canonico.

— Buona notte, nipoti miei! Vi dò pure la benedizione che non costa nulla...

Bianca s’era fatta pallida come un cencio lavato. Si alzò anche lei, con un lieve tremito nei muscoli del mento, coi begli occhi turchini che sembravano smarriti, incespicando nel vestito nuovo, e balbettò:

— Zio!... sentite, zio!... — E lo tirò in disparte per parlargli sottovoce, con calore.

— Sono pazzi! — interruppe il marchese ad alta voce accalorandosi anche lui. — Pazzi da legare! Se torno a nascere, lo dirò anche a loro, voglio chiamarmi mastro Alfonso Limòli!...

— Bravo! — sghignazzò il canonico. — Mi piace quello che dite!