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Il marchese per tagliar corto l’accomiatò: — Va bene! Buona sera, caro don Luca!
Nell’altra stanza, appena furono usciti gli invitati, si udì un baccano indiavolato. I vicini, la gente di casa, Brasi Camauro, Giacalone, Nanni l’Orbo, una turba famelica, piombò sui rimasugli del trattamento, disputandosi i dolciumi, strappandoseli di mano, accapigliandosi fra di loro. E compare Santo, col pretesto di difendere la roba, abbrancava quel che poteva, e se lo ficcava da per tutto, in bocca, nelle tasche, dentro la camicia. Nunzio, il ragazzo di Burgio, entrato come un gatto, si era arrampicato sulla tavola, e s’arrabbattava a calci e pugni anche lui, strillando come un ossesso; gli altri monelli carponi sotto. Don Gesualdo, infuriato, voleva correre col bastone a far cessare quella baraonda; ma lo zio marchese lo fermò pel braccio!...
— Lasciateli fare... tanto!...
La zia Cirmena che si era divertita almeno un po’, si piantò nel bel mezzo della stanza, guardando in faccia la gente, come a dire ch’era ora d’andarsene. In quel frattempo tornò di corsa il sagrestano, ansante, con un’aria di gran mistero:
— C’è qui tutto il paese!... giù in istrada, che stanno a vedere!... Il barone Zacco, i Margarone, la moglie di Mèndola anche... tutti i primi signori del paese!... Fa chiasso il vostro matrimonio, don Gesualdo!...