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— Neanche un bicchierino di perfetto amore? — entrò a dire il canonico con galanteria. La zia Cirmena si mise a ridere, e Santo guardò il fratello, per vedere cosa dovesse fare.
— Eh! eh!... — aggiunse il marchese con la sua tosserella. — Eh! eh!...
— Qualcosa, zio?
— Grazie, grazie, cara Bianca... Non ho più denti nè stomaco... Sono invalido... Sto a vedere soltanto... non posso fare altro...
Il canonico si fece pregare un po’, e quindi trasse di tasca un fazzoletto che sembrava un lenzuolo. Intanto la zia Cirmena s’empiva il borsone che portava al braccio, dov’era ricamato un cane tutto intero, e ce n’entrava della roba! Il canonico invece, che aveva le tasche sino al ginocchio, sotto la zimarra, delle vere bisacce, poteva cacciarvi dentro tutto quello che voleva senza dare nell’occhio. Bianca pure regalò con le sue mani stesse una scatola di confetti al cognato Santo.
— Per vostra sorella e i suoi ragazzi...
— Di’ che glieli manda lei stessa... la cognata... — soggiunse Gesualdo tutto contento, con un sorriso di gratitudine per lei.
Erano un po’ in disparte, mentre tutti gli altri si affollavano intorno alla tavola. Egli allora le disse piano, con una certa tenerezza: