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sbracciava a far dei segni a compare Santo, e vedendo che non capiva, gli soffiò colla voce di petto, come in chiesa, allorchè sbagliavasi la funzione:
— A voi!... Date braccio alla cognata!...
Ma il cognato non si sentiva di fare quella parte. Infine glielo spinsero dietro a forza. Lo zio Limòli intanto era passato avanti colla sposa, e il canonico borbottò all’orecchio di don Gesualdo:
— Credereste?... fa la sdegnosa anche la Capitana! Lei che non manca mai dove c’è da leccare piatti! Fa la sdegnosa anch’essa! Come se non si sapesse donde viene quella gran dama!... No! no! che fate?... — esclamò a un tratto slanciandosi verso compare Santo.
Costui, persa la pazienza, quatto quatto rimboccavasi le maniche del vestito. Per fortuna la cognata stava parlando collo zio Limòli, e non se ne accorse. Il marchese, dal canto suo, era distratto, cercando di evitare Giacalone e Pelagatti che volevano servirlo a ogni costo. — Faranno nascere qualche guaio quei due ragazzi! — borbottò infine.
Anche Bianca abbozzò un sorriso a quell’uscita, e si scostarono dalla tavola tutti e due, per evitare il pericolo.
— Non vuol nulla!... — tornò dicendo il cognato don Santo, quasi si fosse tolto un gran peso dallo stomaco. — Io, per me, gliel’ho offerto!...