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La zia Cirmena si era impadronita della sposa, e aveva assunta un’aria matronale che la faceva sembrare in collera. Dopo che ciascuno ebbe preso posto nella bella sala cogli specchi, si fece silenzio; ciascuno guardando di qua e di là per fare qualche cosa, ed ammirando coi cenni del capo. Alla fine il canonico credette di dover rompere il ghiaccio:

— Don Santo, sedetevi qua. Avvicinatevi; non abbiate timore.

— A me? — rispose Santo che si sentiva dar del don lui pure.

— Questo è tuo cognato, — disse il marchese a Bianca.

Il notaro ripigliò di lì a un momento:

— Guardate! guardate! Sembra lo sbarco di Cristoforo Colombo!

Vedevasi sull’uscio dell’anticamera un mucchio di teste che si pigiavano, fra curiose e timide, quasi stesse per scoppiare una mina. Il canonico fra gli altri monelli scorse Nunzio, il nipotino di don Gesualdo, e gli fece segno d’entrare, ammiccandogli. Ma il ragazzo scappò via come un selvaggio; e il canonico, sempre sorridendo, disse:

— Che diavoletto!... tutto sua madre...

Il marchese, sdraiato sulla sedia a bracciuoli, accanto alla nipote, sembrava un presidente, chiacchierando soltanto lui.

— Bravo! bravo!... Tuo marito ha fatto le cose