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dere ch'ero solo in chiesa, di tutti i parenti... Son venuto a dare un’occhiata.

Don Gesualdo aveva fatto delle spese: mobili nuovi, fatti venire apposta da Catania, specchi con le cornici dorate, sedie imbottite, dei lumi con le campane di cristallo: una fila di stanze illuminate, che viste così, con tutti gli usci spalancati, pareva di guardare nella lente di un cosmorama.

Don Santo precedeva facendo la spiegazione, tirando in su ogni momento le maniche che gli arrivavano alla punta delle dita.

— Come? Non c’è nessuno ancora? — esclamò il marchese, giunti che furono nella camera nuziale, parata come un altare. Compare Santo rannicchiò il capo nel bavero di velluto, al pari di una testuggine.

— Per me non manca... Io son qui dall’avemaria... Tutto è pronto...

— Credevo di trovare almeno gli altri parenti... Mastro Nunzio... vostra sorella...

— Nossignore... si vergognano... C’è stato un casa del diavolo! Io son venuto per tener d’occhio il trattamento...

E aprì l’uscio per farglielo vedere: una gran tavola carica di dolci e di bottiglie di rosolio, ancora nella carta ritagliata come erano venuti dalla città, sparsa di garofani e gelsomini d’Arabia, tutto quello che dava il paese, perchè la signora Capitana aveva