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VII.




Nella casa antica dei La Gurna, presa in affitto da don Gesualdo Motta, s’aspettavano gli sposi. Davanti alla porta c’era un crocchio di monelli, che il ragazzo di Burgio, in qualità di parente, s’affannava a tener discosti, minacciandoli con una bacchettina; la scala sparsa di foglie d’arancio; un lume a quattro becchi posato sulla ringhiera del pianerottolo; e Brasi Camauro, con una cacciatora di panno blù, la camicia di bucato, gli stivali nuovi, che dava l’ultimo colpo di scopa nel portone imbiancato di fresco. A ogni momento succedeva un falso allarme. I ragazzi gridavano: — Eccoli! eccoli! — Camauro lasciava la scopa, e della gente si affacciava ai balconi illuminati.

Verso un’ora, di notte arrivò il marchese Limòli, facendosi largo colla canna d’India. Vide il lume, vide le foglie d’arancio e disse: — Bravo! — Ma nel salire le scale, stava per rompersi l’osso del collo, e allora scappò anche a bestemmiare: