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bero genealogico, come un lenzuolo: l’albero della famiglia che bagnava le radici nel sangue di un re libertino, come portava il suo stemma — di rosso, con tre gigli d’oro, su sbarra del medesimo, e il motto che glorificava il fallo della prima autrice: Virtutem a sanguine traho.

S’era messi gli occhiali, appoggiando i gomiti sulla sponda del lettuccio, bocconi, con gli occhi che si accendevano in fondo alle orbite livide.

— Son seicent’anni d’interessi che ci devono!... Una bella somma!... Uscirete d’ogni guaio una volta per sempre!...

Bianca era cresciuta in mezzo a simili discorsi che aiutavano a passare i giorni tristi. Aveva veduto sempre quei libracci sparsi sulle tavole sgangherate e per le sedie zoppe. Così essa non rispose. Suo fratello volse finalmente il capo verso di lei, con un sorriso bonario e malinconico.

— Parlo per voialtri... per te e per Ferdinando... Ne godrete voialtri almeno... Quanto a me... io sono arrivato... Tè!... tè la chiave!... serbala tu!

La zia Sganci, a quei discorsi, da prima scattò come una molla: — Caro nipote, mi sembrate un bambino! — Ma subito si calmò, col sorriso indulgente di chi vuol far capire la ragione proprio a un ragazzo.

— Va bene!... va benone!... Intanto maritatela