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e lo portavano nel magazzino, dove non cessava mai la nenia di Pirtuso che cantava “e viva Maria!„ ogni venti moggi. Tutt’intorno svolazzavano stormi di galline, un nugolo di piccioni per aria; degli asinelli macilenti abboccavano affamati nella paglia, coll’occhio spento; altre bestie da soma erano sparse qua e là; e dei barili di vino passavano di mano in mano, quasi a spegnere un incendio. Don Gesualdo sempre in moto, con un fascio di taglie in mano, segnando il frumento insaccato, facendo una croce per ogni barile di vino, contando le tregge che giungevano, sgridando Diodata, disputando col sensale, vociando agli uomini da lontano, sudando, senza voce, colla faccia accesa, la camicia aperta, un fazzoletto di cotone legato al collo, un cappellaccio di paglia in testa.
— Lo vedete, don Luca, se ho tempo da perdere adesso!... Vino qua! Date da bere a don Luca!... Sì, sì, verrò; ma quando potrò... Per ora non posso muovermi, cascasse il mondo!... Diodata!... bada che il vento spinge la fiamma verso l’aia, santo e santissimo!... No, don Luca! non sono in collera pel rifiuto dei suoi fratelli... Venite qua, accostatevi, ch’è inutile far sapere alla gente i fatti nostri!... Ciascuno la pensa a modo suo... Poi è lei che deve risolvere... Se lei dice di sì, io per me non mi tiro indietro... Ma oggi non posso venire... e neppure domani... Be’!