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— Sapete cosa vi dico? che mi fate fare uno sproposito! Tante volte ve l’ho predicato!... ora lo fo sul serio, com’è vero Dio! L’asino quando non ne può più si corica, e buona notte a chi resta!

E se ne andò nella stalla, mentre Speranza gli strillava dietro:

— Scappate anche? per andare a trovare Diodata? Vi pare che non l’abbia vista? Mezza giornata che vi aspetta, quella sfacciata!...

Egli sbatacchiò l’uscio. Da prima non voleva neppur mangiare, digiuno com’era da ventiquattr’ore, con tutti quei dispiaceri che gli empivano lo stomaco. Diodata andò a comprargli del pane e del salame, bagnata sino alle ossa al par di lui, colla gola secca. Lì, sulla panchetta della stalla, dinanzi a una fiammata di strame, almeno si inghiottiva in pace un po’ di grazia di Dio. — Ti piace, eh, questa bella vita? Ti piace a te? — domandava egli masticando a due palmenti, ancora imbronciato. Essa stava a vederlo mangiare, col viso arrossato dalla fiamma, e diceva di sì, come voleva lui, con un sorriso contento adesso. Il giorno finiva sereno. C’era un’occhiata di sole che spandevasi color d’oro sul cornicione del palazzo dei Trao, dirimpetto, e donna Bianca la quale sciorinava un po’ di biancheria logora, sul terrazzo che non poteva vedersi dalla piazza, colle mani fine e delicate, la persona che sembrava più alta e sottile in quella