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Appena il canonico se ne fu andato su per la scala rotta e scalcinata, arrivò il cavaliere dal poderetto, montato su di un asinello macilento, con una bisaccia piena di fave dietro. Don Gesualdo per ingraziarselo lo aiutò a scaricar le fave, e a legar l’asino alla mangiatoia, sotto l’arco della scaletta; ma il cavaliere parve un po’ seccato d’esser stato sorpreso in quell’arnese, tutto infangato, e col vestito lacero da campagna.
— Non ne facciamo nulla, — disse il canonico ritornando poco dopo. — È una bestia! Crede di fare il cavaliere sul serio... Deve avercela con voi... Bisogna trovare la persona. Ciolla? ohi? Ciolla? A voi dico, Ciolla! Sapete s’è in casa don Filippo? L’avete visto uscire?
Ciolla ammiccò coll’unico occhio, torcendo ancora la bocca di paralitico.
— No, Canali è ancora lì, da Bomma, che l’aspetta per condurlo dalla cognata, la ceraiuola, sapete bene? È la loro passeggiata, dopopranzo... a trastullarsi con lei, dietro lo scaffale... Che c’è di nuovo, don Gesualdo? Andate a benedire il ponte, insieme al canonico?
Don Gesualdo si sfogò infine con lui, appuntandogli contro le corna, con tutt’e due le mani.
— Vi stava sulla pancia quel ponte!... Come aveste dovuto spendere di tasca vostra!...
Il canonico lo tirò per un braccio: