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— No, dico per l’altro affare, quello della gabella. Non vorrei che giuocassimo a scarica barile fra di noi, caro don Gesualdo!

Costui voleva allungare la mano di nuovo; ma il canonico aveva già infilato l’uscio. — Voi m’aspetterete giù, nel portone. Un momento, vado e torno.

Tornò fregandosi le mani: — Ve l’avevo detto. Non ci vede dagli occhi donna Marianna per quella nipote! Farete un affarone!

Appena fuori si imbatterono nel notaro Neri, che andava ad aprire lo studio, e fece il viso di condoglianza a don Gesualdo. — Brutto affare, eh? Mi dispiace! — Sotto si vedeva che gongolava. Il canonico, a tagliar corto, rispose lui: — Cosa da nulla... Il diavolo poi non è così brutto... Rimedieremo... Abbiamo salvato i materiali... — Dopo, quando furono lontani, e il notaio con la chiave nella toppa li guardava ancora ridendo, il canonico gli soffiò nell’orecchio, a mastro-don Gesualdo:

— È che avete una certa faccia, caro mio!...

— Io?

— Sì. Non ve ne accorgete, ma l’avete! Se fate quella faccia, tutti vi metteranno i piedi sopra per camminarvi!... Con quella faccia non si va a chiedere un favore... Aspettatemi qui; salgo un momento dal cavalier Peperito. E’ una bestia; ma l’hanno fatto giurato.