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si scorgeva confusamente un enorme ammasso di rovine, come un monte franato in mezzo al fiume, e sul pilone rimasto in piedi, perduto nella bruma del cielo basso, qualcosa di nero che si muoveva, delle braccia che accennavano lontano. Il fiume, di qua e di là dei rottami, straripava in larghe pozze fangose. Più giù, degli uomini messi in fila, coll’acqua fino al ginocchio, si chinavano in avanti tutti in una volta, e poi tiravano insieme, con un oooh! che sembrava un lamento.
— No! no! — urlavano i muratori trattenendo pel braccio don Gesualdo. — Che volete annegarvi, vossignoria?
Egli non rispondeva, nel fango sino a mezza gamba, andando su e giù per la riva corrosa, coi capelli che gli svolazzavano al vento. Mastro Nunzio, dall’alto del pilone, gli gridava qualche cosa: delle grida che le raffiche gli strappavano di bocca e sbrindellavano lontano.
— Che ci fate adesso lassù?... State a piangere il morto? Lasciate... lasciate andare! — gli rispose Gesualdo dalla riva. Il rumore delle acque si mangiò anche le sue parole furiose. Il vecchio, in alto, nella nebbia, accennava sempre di no, testardo. Dell’altra gente gridava anche dalla riva opposta, sotto gli ombrelloni d’incerata, senza potere farsi intendere, indicando verso il punto dove gli uomini tiravano in