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Era un parapiglia per tutta la casa: Speranza, la sorella, che scendeva a precipizio, intanto che suo marito s’infilava le brache; Santo, ancora mezzo ubbriaco, ruzzoloni per la scaletta della botola, urlando quasi l’accoppassero. Il manovale, a ciascuno che capitava, tornava a dire:
— Il ponte!... l’armatura!... Mastro Nunzio dice che fu il cattivo tempo!...
Don Gesualdo andava su e giù per la stalla, pallido, senza dire una parola, senza guardare in viso nessuno, aspettando che gl’insellassero la mula, la quale spaventata anch’essa sparava calci, e Masi dalla confusione non riusciva a mettergli il basto. A un certo punto gli andò coi pugni sul viso, cogli occhi che volevano schizzargli dall’orbita.
— Quando? santo e santissimo!... Non la finisci più, peste che ti venga!
— Colpa vostra! Ve l’avevo detto! Non sono imprese per noialtri! — sbraitava la sorella in camicia, coi capelli arruffati, una furia tale e quale! Massaro Fortunato, più calmo, approvava la moglie, con un cenno del capo, silenzioso, seduto sulla panchetta, simile a una macina di mulino. — Voi non dite nulla! state lì come un allocco!
Adesso Speranza inveiva contro suo marito: — Quando si tratta d’aiutar voi, che pure siete suo cognato!... carico di figliuoli anche!... allora saltano fuori