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«Beatrice, angiolo della mia vita, ed è vero! Son questi i tuoi caratteri! Non m’illude la febbricitante fantasia! Oh, grazie; grazie ti rendo per l’eternità; nettare, ambrosia, eliso, io più non v’invidio!
Beatrice! oh Beatrice! Sento che ormai non potrò più vivere diviso da te! Tu sei necessaria alla mia esistenza. — Ti confesso che qualche volta mi assale il terribile dubbio che tu non possa giammai amarmi, e che, unendoti meco per sempre, tu non fai che obbedire alla volontà di tuo padre e partire il mio destino, quasi a compenso della luce ch’io restituirò agli occhi tuoi — Angiol mio, dissipa, questo mio dubbio!
Se tu sapessi come trista era l’anima mia, come scuro era per me l’orizzonte della vita, pria che tu venissi ad abbellirla con un sorriso d’innocenza e di virtù!... Io debbo sembrarti freddo, egoista; questo è appunto il fato che mi tormenta, l’affanno che mi divora; io non comparisco mai nel mio vero aspetto; ed allora che il sogghigno sta sulle labbra, le lagrime mi scorrono amare sul cuore... Ieri a notte ho pianto assai!... Mia cara, mia celeste Beatrice, no... no, io non merito il tuo amore, ma se tu me ne privi, non saprei come più lungamente sopportare il vuoto d’una esistenza senza scopo. Là felicità non è che l’amore!
In una delle notti febbrili che ho passate, ho sognato che era la sera del nostro matrimonio; un lautissimo banchetto riuniva i nostri