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La giovinetta non era oppressa dal suo solito sopore; parea più sollevata. Carolina le stava dappresso, cercando di confortarla a conversare, ma la fanciulla non ne avea la forza. D'altra parte, ogni volta che profferiva quattro o cinque parole di seguito, veniva molestata dalla tosse; onde ella temea di aprir la bocca. Beatrice guardava l’amica con occhi in cui vagolavano le lagrime; accennava di voler dire qualche cosa. Da questa disposizione di lei incuorata la figliuola del Conte, non meno che dallo scorgere nell’ammalata una certa lucidezza e serenità di mente, si diè animo a rivolgerle la parola, nella speranza che la cara giovinetta disfogasse nel seno dell’amicizia il peso mortale che parea le fosse piombato sul cuore.
— Beatrice, amica mia sorella mia, prese a dire Carolina, perchè non mi dirigi più la parola? Perchè non mi dici niente? Tu soffri, Tu soffri, tu sei ammalata, io passo le intiere giornate accanto a te, senza udir mai la tua voce! Io dunque non sono più l'amica tua? Più non mi ami?
Carolina le dicea queste parole, presso che coricata a fianco di Beatrice, e con le mani di costei nelle sue. Lo sguardo di questa donna era così pieno di vita e di amore, le sue guance erano così animate dal bel sentimento dell'amicizia, che Beatrice se la tirò sul seno e la baciò sulle gote con tenerezza estrema. Carolina restituì baci per baci, carezze per carezze.