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ceva il Creatore di avermi dato un mezzo onde ricredermi.

La cecità, io diceva in me medesimo, è una morte nella vita, facciamocene dunque una preparazione salutare per una buona morte. Ho vivuto abbastanza pe’ piaceri a per le dissolutezze, viviamo ormai per l’eterna salute; abbastanza vissi per me viviamo un poco per gli altri.

La preghiera e la beneficenza occuparono i miei giorni. Io vendetti il mio appartamento alla strada Nardones non meno che tutte le mie suppellettili: congedai i miei servi, e fermai di vivere il più modestamente che mi fosse possibile. Il fasto più non si addiceva al mio stato. Mi restava un amico, il conte Franconi; lo pregai di darmi una stanza della sua casa; egli vi acconsentì, ed io venni a vivere in questo palazzo.

Non so dirvi quello che provò il mio cuore allorchè seppi che tutti e due, in compagnia del marchese Rionero, sareste venuti a passar qui una giornata. Io avea pregato il conte Franconi di non rivelarvi giammai esser io suo ospite, perocchè desiderava esser da tutti obbliato, siccome tutti mi avevano col fatto obbliato nella mia disgrazia. Il Conte mi tenne la parola e nulla vi disse.

Allorchè voi giungeste in questa casa, nel passar che faceste presso la mia stanza, udii la voce del Marchese e la tua, Oliviero. Non volli prender parte al pranzo, imperciocchè non volli turbare colla mia presenza la festevole compa-