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ricchezze! Io faceva paura a me medesimo camminando nel mio vasto appartamento. Il sospetto, la pusillanimità, la codardia mi accompagnavan sempre!

Oh come orrenda si fu la prima volta che io mi svegliai cieco! Credevo che il sonno non ancora mi avesse abbandonato, credevo che la notte durasse tuttavia, che non ancora fosse spuntato il giorno! E prestai l’orecchio all’orologio a pendolo; e quando quello battè le otto del mattino, gettai un urlo disperato, chiesi un’arma per troncarmi l’aborrita esistenza.

Un giorno un amico officioso mi disse che Beatrice Rionero più non era cieca, che Oliviero Blackman le avea dato la vista: questa notizia mi dette in sul principio un accesso di furore; col bastone che mi serviva di guida nelle mie stanze ruppi in frantumi un magnifico vaso di fiori.

Ma da questo momento cominciò per me quel salutare ritorno su me medesimo che tanto ha poscia trasformato il mio essere! Mi sorse in mente il dubbio che tutto quello che mi era accaduto fosse l’opera di una mano superiore, che a tal modo aveva in me castigato le nefandezze della mia vita passata. Oh quante volte avea io riso sulla tua cecità, Beatrice! Quante volte seduto a mensa inebbriante avevam folleggiato sulla tua disgrazia! Ed eccomi piombato in questa medesima orrenda condizione in cui tu ti trovavi. Ecco la mia stolta superbia ridotta alla più compiuta impotenza! Eccomi il più infelice, il più debole di tutti gli