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tutto si diede alle proprie bisogne, più non pensando al passato che solo allora che i suoi occhi si letiziavano con paterna sollecitudine e affetto nella vista de’ gioielli.

Dopo la scena, da noi descritta, e in cui Gaetano strappò all’avaro il cassettino, che era pur tutta la costui vita, il notaro infermò sì gravemente che per oltre ventiquattro ore restò come morto.

Riscosso dal letargo, fu colto da febbre ardentissima, nonostante l’intensità della quale dovette uscire per provvedere a’ suoi bisogni e per ricercare un altro commesso. L’istinto dell’avarizia non lo abbandonava: oltracciò, il cassettino non era la sola ricchezza che egli possedesse; ben altre ne aveva, impiegate sul debito pubblico. La curia gli fruttava discretamente e non avrebbe potuto abbandonar le sue faccende, senza gravissimo danno de’ propri interessi. Laonde gli fu forza di torre a stipendio un commesso; e questi si fu appunto quel Domenico che consegnò il testamento al cavalier Amedeo.

La febbre esacerbò per modo che il notaio più non potè uscire. Domenico veniva talvolta a visitarlo; gli facea da medico, gli ordinava medicami, ma il sordid’uomo non volea sentirne a parlare, perocchè trattavasi di spender danaro.

La testa del vecchio fu perduta... Il timore che il rubassero durante la sua malattia, la ferita mortale che Gaetano gli aveva aperta nell’anima involandogli il cassettino, avean per-