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to, dicendo di averlo perduto nei fuggire che facea di paese in paese.

L’avaro, per viemaggiormente iudurre Nunzio a non parlare, avea trovato modo di fargli sapere, nel fondo della prigione, di aver mandato somme di denaro alla famiglia di lui in Calabria. Questa menzogna non potea mai essere smentita, imperciocchè il Pisani avea cercato sempre di nascondere a’ suoi la vita infame ch’ei menava, l’assassinio, il furto e la prigionia; epperò nessuna corrispondenza epistolare avea con essi, anche a ragione della vita fuggiasca e nomada, a cui il suo delitto obbligavalo.

La condanna e la morte di Nunzio Pisani colpì di spavento lo scellerato Basileo, chè tremava sempre non avesse quegli palesato alla fine per terror di coscienza, il complice del misfatto. E non respirò che quando la testa del Pisani cadde dal patibolo.

Due uomini, diametralmente opposti per carattere, per sentimenti, per posizione sociale, aveano assistito all’estremo supplizio del Calabrese. Separati dalla folla, pallidi per differenti commozioni, eglino avean contato i momenti che teneano ancor quel capo congiunto a quel corpo.

L’uno satollava in quello spettacolo una sete di vendetta.

L’altro vi scorgea l’impunità del suo delitto.

Que’ due uomini erano il marchese Rionero, e Tommaso Basileo!

La morte di Nunzio rassicurò il notaro, che