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a’ salotti più graziosi e spontanei prestavasi, e non poche volte sulla propria deformità motteggiava e rideva. Nessun mestiere od arte egli faceva; però, sempre che fatto gli venisse, nelle masserizie paterne cacciava le mani, e, provvedutosi di quattrini, iva a starsi a trebbio coi compagni nelle biscazze e ne’ rioni, il giuoco, la bottiglia e le donne diventarono per lui in brevissimo tempo cocenti bisogni, a tale che starne senza non poteva un sol giorno.

È agevole il supporre che, seguitando un tal tenore di vita, due sole vie l’avvenire gli schiudea dinanzi, la forca o lo spedale: abbiamo accennato quale di queste due verificossi.

Morto suo padre, ei trovavasi nel durissimo stato di provvedere alla propria esistenza e a quella della madre, allorchè campo vastissimo di ventura gli offrirono i rivolgimenti politici dell’anno novantanove, d’infausta memoria. In quel tempo di anarchia e di trambusti, di spoliazioni e di morti, la ruota di fortuna girava con incredibile celerità, trabalzando dall’alto in giù individui, famiglie e città. E Nunzio non fu de’ capovolti, perciocchè, abbracciando sempre le parti del vincitore, battagliando con prosperosa fortuna, seppe avviticchiarsi alla girevolissima ruota e raccogliere un piccolo avanzo di quel naufragio. Non diremo delle sue opinioni o simpatie politiche, che negli uomini come lui la politica è un nome chè diversamente non suona da rapina e saccheggio. E quando cessarono gli sconvolgimenti e le turbolenze, Nunzio si vide in possesso di un’a-