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madio che avea lasciata dischiusa, e diedesi in tutta fretta a ricercare il protocollo del testamento richiestogli.

Del dì 21 agosto 1745... registrato il 6 settembre detto anno, ripeteva a sè medesimo leggendo questi indizii sui brano di carta su cui gli avea notati, volume 180, casella 1024...

E ciò dicendo, andava rovistando tra quelle vecchie cartacce e quaderni, dando sempre uno sguardo pauroso verso la porta della curia, sembrandogli ad ogni momento esser sorpreso dal reduce notaio.

Un cinque minuti scorsero in siffatta operazione, a capo de’ quali mise un profondo sospiro, rinserrò l’armadio, e discese prestamente dalla sedia, tenendo in mano un grosso e vecchio zibaldone, composto di molti quaderni di carta cuciti tra loro.

— Ecco il testamento!... Ora vedremo, signor cavaliere, se vale cento o mille piastre la consegna di questo documento... Ah... voi altri signori gittate un pugno di monete, e credete aver fatto tutto... ma non basta... La divisione dev’essere più giusta, quando si tratta di delitti e di danaro. Ciascun di noi si abbia uguale porzione nel beneficio della colpa... Vedremo di che roba si tratta.

Così parlando, andava sfogliando quelle carte con impazienza. Di repente, si ferma e trae una lettera di mezzo ad uno di que’ quaderni.

— Cielo! esclama, che carattere è mai questo!.. no, non m’inganno! è sua... è sua questa scrittura!