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to nel morale, ma supremazia sugli altri istinti aveva quello del tigre. È impossibile d’immaginare un essere più perfidamente vile, più vilmente brutale, più brutalmente e bestialmente sordido. Nè si creda che ci piacciamo di esagerare a talento un personaggio creato dalla nostra fantasia; imperocchè nella storia naturale dell’uomo, siccome testè dicemmo, un tal tipo è ovvio e frequente, e massime in seno delle popolose incivilite capitali.
Ben può facilmente immaginarsi che sorta di vita avesse a passare il giovin calabrese nella soggezione di quest’uomo, e come amaramente ad ogni boccone che tracannasse ricordar dovesse del come sa di sal lo pane altrui. Non direm quindi, per rispetto che abbiamo all’alta origine umana, non direm dei maltrattamenti fatti subire al povero scribentuccio ogni qual volta trascorreva lora consueta in che trovar si doveva al suo posto; un velo gitteremo sulle turpi nefandezze di quel servo dal danaro. Altre cose più importanti alla nostra storia chiamano altrove la nostra attenzione, benchè del pari tristi e miserevoli.
Non induca però maraviglia di sorta alcuna il vedere siccome nell’animo dilacerato di Gaetano queste continuate stille di piombo rarefatto, congiunte al sentimento della propria deformità, non meno che al peso d’indicibile oppressione, derivatagli da un orribil segreto, che il traeva continuamente a maledir la sua esistenza, ingenerar dovessero in lui il più gran