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famiglia... Io vi ho veduto a uscire dall’Albergo delle Crocelle, e ho atteso finora... Ho speranza che salverete il mio povero zio.

— Andiamo, disse Gaetano; salite in carrozza con me... Dove abita vostro zio?

— Un pò lontano, sig. Blackman... egli è al casino.

— Ma insomma?

— Salita Betlemme... presso l’erta di Brancaccio.

— Sferza, cocchiere, disse Gaetano.

La carrozza torse la via e tenne l’alto.

Cammin facendo, quell’uomo con sembiante di dolore e con occhi smarriti raccontava al medico tutto il tristo accaduto; dicea come di botto una furia di sangue avea stramazzato al suolo il povero zio, il quale nella sera prima avea straperduto al giuoco; come fosse rimasto senza sentimenti e senza vita apparente; come gli stava intorno con affettuose cure la famiglia, che tutte in lui, Blackman, riponea di presente le sue speranze. Dicea che per lungo volgere di anni nissuno potea scordarsi del beneficio che egli avrebbe fatto a quella famiglia, ridonandole il padre, lo zio, la provvidenza di tutti.

Gaetano l’udiva macchinalmente: il suo pensiero era rivolto al Santoni, e nel suo cuore fluiva a torrenti la gioia di avere umiliato quel superbo.

La carrozza volò. Dopo dieci minuti si trovarono al cominciar della salita di Betlemme. L’incognito disse al cocchiere d’aspettar quivi,