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IV.


la preghiera.


Entrando nella sua camera, Blackman, acceso un sigaro, si gittò sovra un piccolo sofà turco. Dalla disposizione del proprio animo ei sentiva che per quella notte il sonno non lo avrebbe visitato; oltracciò, il domani era per lui un giorno di crisi nella sua vita: imperocchè un pensiero ardito fitto se gli era nel cervello, e davagli rovello e rodimento.

Aggiugni che egli avea promesso al Marchese dargli decisiva risposta il domani sullo stato di cecità della figliuola, ed avea necessità di raccogliersi alquante ore per iscrutare nelle vaste sue cognizioni sulla costituzione organica degli occhi, e decidere il gran problema della possibilità d’una guarigione perfetta. Ei trovavasi in uno di quei momenti solenni, nei quali trovasi un artista che è sul punto d’imprendere un lungo e difficil lavoro, dal quale ripromettesi fama non peritura.

Blackman si abbandonò a profonda meditazione. Era l’arte medica quella che ne formava esclusivamente l’obbietto? Mal potremmo dirlo, perocchè confessiamo non avere ancora scandagliata l’anima di lui nelle sue latebre; ma è certo che per la mente ei non ravvolgea soltanto gli aforismi d’Ippocrate e di Galeno, e questo argomentavasi dal perchè,