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mente Oliviero, il quale, secondo il consueto, non aveva scambiato che pochissime parole gol Conte che gli sedea dappresso. Ei stava seduto proprio dirimpetto a Beatrice, la quale aveva alla sua dritta il padre e alla sinistra il cav. Amedeo, come quegli che già a tutti aveva annunziato i suoi prossimi sponsali con la bella cieca.

Blackman era cupamente concentrato, e fissava i suoi torbidi occhi con istrana attenzione or su Beatrice, or sul Marchese, ed il più frequentemente sul cavalier Amedeo, il quale parca con malavoglia portare il malaugurato sogguardo del medico. Cosa inconcepibile! Una mortale antipatia era nata tra questi due personaggi fin dal primo loro scontrarsi, antipatia che traducevasi per ora su i loro volti, e che andava in cerca d’una occasione per iscoppiare apertamente e senza riguardo veruno; imperocchè nell’uno campeggiava l’orgoglio e la vanità onde niente altro estimava tranne che un illustre natale, e nell’altro signoreggiava il sogghigno dello stoico filosofo che soltanto all’ingegno e alla virtù si china. E l’occasione non indugiò a presentarsi per dar lo scatto a quell’arcano sentimento di odio che in entrambi questi personaggi era sorto gigante.

Appresso il desinare, i convitati si trassero nel salotto dove era preparato il servizio da tè — Varie partite di giuoco furou proposte.

Oliviero si accosta al cav. Amedeo, e lo invita a giuncar con lui una partita di écarté. Il